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Feedback negativi a lavoro: piccola guida alla sopravvivenza

07/04/2023

Capita a tutti di ricevere un’opinione negativa sul posto di lavoro. Anzi, oserei dire che non riceverne mai è una cosa piuttosto improbabile e, dal mio punto di vista, neanche così tanto desiderabile.

Ci sono varie reazioni emotive che vi possono conseguire e queste dipendono da noi, dal contesto in cui ci troviamo ed infine dal modo in cui tale giudizio ci viene comunicato. Dei tre elementi c’è solo una cosa che possiamo controllare: noi stessi ed il nostro modo di reagire, nella consapevolezza che alcune reazioni possono essere più funzionali di altre.

Prima di iniziare le considerazioni su “come reagire meglio”, partiamo però con una candida e doverosa ammissione.
Ce lo possiamo dire tranquillamente: a nessuno fa piacere ricevere critiche. E questo è un aspetto naturale che ci accomuna, perché tutti noi abbiamo un innato bisogno psicologico di conservare e mantenere elevata l’opinione che abbiamo di noi stessi. Preservare una buona opinione di noi è un comportamento di semplice autoconservazione, fondamentale per raggiungere obiettivi e adattarci alla vita.


Detto questo, ci sono però tre tipi di reazioni emotive alla critica, che potrebbero rivelarsi più problematiche per noi ed essere quelle in cui più facilmente ci incastriamo: una rabbiosa, una depressiva ed una ansiosa. 

  1. La reazione rabbiosa è quella che erge un muro di diniego, sdegno, banalizzazione dell’opinione altrui.
    Ci arrabbiamo perché ci sentiamo attaccati nella solida immagine che abbiamo di noi stessi, ci sentiamo incompresi nella bontà delle nostre intenzioni o idee. Quindi neghiamo la critica, arrabbiandoci contro chi l’ha espresso e magari accusandolo. In questo scenario, il muro è così duro che si perde la possibilità di comunicare e questo non porta mai a niente di buono, perché ci irrigidiamo nelle nostre idee. La reazione rabbiosa può essere più esplosiva (e pericolosa per le nostre relazioni lavorative) oppure più internalizzata, esprimendosi in un lento logoramento interno, sostenuto dall’idea costante che gli altri siano tutti degli incapaci.

     

  2. La reazione depressiva, ahimè, non è tanto più felice. È quella che ci può portare a chiuderci in noi stessi dentro una bolla di infelice vittimismo, facendoci sentire profondamente inadeguati. In questo scenario ci colpevolizziamo, esagerando di gran lunga il vero senso della critica fatta, flagellandoci in un triste rimuginio. In questo caso, rischiamo di isolarci dagli altri e di incorrere in comportamenti di evitamento/fuga. Evitiamo di incontrare gli altri o di esporre le nostre idee perché ci vergogniamo all’idea di sbagliare e temiamo un rifiuto. Meglio, quindi, non fare niente piuttosto che essere oggetto di altri giudizi.

     

  3. La reazione ansiosa, grande amica dei devoti al perfezionismo. La critica viene percepita come una autentica minaccia: ne abbiamo terrore ed iniziamo ad evitarla attivamente perché è una fonte intollerabile di angoscia. Il giudizio è considerato come la premessa ad una serie di eventi catastrofici, che certamente ci vedranno come imperdonabili protagonisti. Qualsiasi cosa, a questo punto, può diventare oggetto di critica: per questo, ci si incastra in un rimuginio alimentato da dubbi cronici. La costante preoccupazione di “non sbagliare” rischia però di bloccarci o di portarci ad evitare qualsiasi situazione che può essere fonte di ansia.

    Chi non è caduto, almeno una volta, in queste reazioni?

In tutti e i tre casi si accomuna una sensazione di essere “colpiti” o “feriti” in un qualche modo. Ma nessuna di queste reazioni emotive ci è davvero utile se vissuta con questo atteggiamento.

Un atteggiamento che, alla base, identifica i giudizi spiacevoli come qualcosa che ci danneggia necessariamente. E questa è un’idea sia sbagliata che distruttiva nel lungo termine.

Infatti non è vero che tutti i giudizi negativi vengono per nuocere.

Vediamo allora, in termini più concreti, che armi possiamo sfoderare per difenderci dalle nostre reazioni emotive avverse e per usare costruttivamente i feedback negativi che riceviamo a lavoro.

STEP 1: CAMBIAMO NARRATIVA
La prima e più importante cosa da fare è rappresentarceli diversamente e capire che il giudizio, molte volte, non ha affatto lo scopo di danneggiarci, ma semplicemente quello di cambiare qualcosa nel nostro modo di fare. Rendiamo la critica qualcosa di veramente utile ed uno strumento di cambiamento. Smettiamola di demonizzarla e proviamo a sentirla come nostra alleata. Chiediamoci quindi: come mi sto rappresentando questo feedback negativo? Lo vedo come un suggerimento oppure un attacco? Qual è lo scopo reale che la persona vuole ottenere nel farlo? Se modifichiamo la narrativa da “attacco a sé” a “strumento per sé” siamo già su un’ottima strada. A questo punto ragioniamo concretamente con quali comportamenti possiamo farla diventare uno strumento positivo.

STEP 2: IDENTIFICHIAMO LE NOSTRE EMOZIONI
Abbiamo visto alcune possibili categorie di reazioni. Riuscire a capire quale stiamo provando può aiutarci a controllare la catena successiva di comportamenti: isolamento depressivo, attacco, evitamento? Quali ulteriori conseguenze comportano? Per controllare il nostro comportamento, infatti, bisogna prima capire l’emozione che lo suscita. Ricordiamoci sempre che non possiamo “schivare” l’emozione, ma possiamo schivare le sue conseguenze negative, gestendo il nostro modo di rispondervi.

STEP 3: DISTANZIAMOCI
Non partiamo in quinta! Prima di farci travolgere dai pensieri, prendiamo le distanze e cerchiamo di vedere il giudizio non come una questione personale e nemmeno come una critica al nostro valore.
Molti di noi tendono ad estendere un giudizio di tipo operativo ad uno di tipo valoriale. Niente di più sbagliato. Una critica su un nostro comportamento, infatti, non è un giudizio sulla qualità della nostra persona. Proviamo ad identificare il comportamento oggetto di critica e a vederlo come qualcosa che non ci può definire come persona “in toto”.

STEP 4: CERCHIAMO CHIARIFICAZIONI
Non lasciamoci terrorizzare dal giudizio, entriamoci davvero nel merito per capirlo a fondo: in questo modo ci apparirà meno spaventoso. Non accontentiamoci di frasi perentorie: chiediamo spiegazioni! Questo ci può aiutare nel processo di comprensione razionale dell’accaduto e, soprattutto, ci può fornire dei reali indicatori su come possiamo concretamente fare meglio la prossima volta, aiutandoci a distoglierci dall’idea che ad essere sbagliati siamo noi. (Oltretutto, chiedere spiegazioni darà all’altro l’idea che siamo davvero interessati a migliorarci e non a trincerarci nelle nostre idee, mostrandogli disponibilità all’ascolto e apertura mentale. Un bel plus, no?)

STEP 5: se commettiamo un errore RINUNCIAMO ALLA GIUSTIFICA
Tutti tendiamo a trovare scuse quando sbagliamo, spesso cadendo nella trappola della iper-giustificazione. Non serve davvero e sicuramente non cambia la cosa più importante: la realtà. Qual è il rischio che porta? Se giustifichiamo ogni cosa, non saremo capaci di riconoscere l’origine eventuale dell’errore (creando una catena infinita di motivi) né di assumercene la responsabilità. Commettiamo tutti errori e non c’è niente di cui vergognarsi: se smettiamo di giustificarci, iniziamo a responsabilizzarci e, magari, smettiamo di rappresentarci l’errore come qualcosa di deprecabile (e che quindi va sempre giustificato perché inaccettabile). No. Le critiche sono accettabili se, per noi, diventa accettabile l’idea di fare degli errori. Impariamo a riconoscere di poter sbagliare e scopriremo che la critica non è poi così dolorosa.


Alla fine di questa rassegna di consigli (così facili a dirsi e non a farsi), l’ultima considerazione: da dove partiamo?

Il mio suggerimento finale (solo apparentemente anticonservativo) è questo: cercate attivamente la critica. 

Lasciamoci cogliere preparati al suo arrivo: non lasciamo che sia lei a tenderci un agguato, ma diventiamo noi i suoi predatori. Meglio sapere quando arriva (almeno finché non sappiamo ancora gestirla) che riceverla in corsa quando magari abbiamo altre preoccupazioni, no?

Chiediamo quindi feedback ed esercitiamoci non solo a gestirli, ma anche ad usarli a nostro favore. Ricordandoci che più ci troveremo ad affrontare situazioni di giudizio e più alzeremo la nostra soglia di tolleranza, arrivando magari a poter ascoltare (in un ipotetico futuro) anche quei giudizi che prima ci avrebbero annientati.

Questa operazione ci farà apprendere una cosa straordinariamente utile, ossia che l’opinione degli altri, alla fine, non ci distrugge, ma al contrario ci sprona al cambiamento.

In questo modo siamo noi a decidere se un giudizio sarà per noi un freno o, al contrario, un acceleratore.

 

Scritto da: Cristina Paschina

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